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Buoni pasto: sciopero strumentale e dannoso
» 15.03.2007
La stessa Federazione era già intervenuta ad adiuvandum nella causa promossa e vinta da un’azienda associata davanti al TAR Lazio che ha decretato l’illegittimità ed inadeguatezza del DPCM 18 Novembre 2005 (Affidamento e gestione dei servizi sostitutivi di mensa). In particolare, lo sciopero indetto per oggi ("No-Ticket day") e la relativa campagna mediatica promossa nelle ultime settimane appaiono iniziative strumentali al ripristino di posizioni dominanti che rischiano di far lievitare i prezzi per la pubblica amministrazione, limitando la libera concorrenza nel settore. È fuori luogo parlare di conseguenze "catastrofiche" della decisione del TAR e di un ritorno ad una specie di "far west" nel settore. Con la decisione del Tribunale Amministrativo, infatti, si determina solo il ritorno alle regole applicate in tutti i contratti della P.A..
"Non c’è necessità alcuna di una normativa ad hoc per il mercato dei buoni pasto", spiega Antonio Lombardi, componente del Consiglio Generale FISE, "in quanto non esistono obiettive motivazioni economiche e sociali che legittimino uno stravolgimento delle regole del mercato e di quelle già contenute nelle norme comunitarie e nazionali di riferimento". L’apertura alla concorrenza del settore, solo fino a pochi anni fa governato da poche grandi imprese, ha portato a un risparmio effettivo della spesa pubblica di circa il 7% dell’intero valore delle commesse pubbliche e a un innalzamento della qualità dei servizi prestati.
In merito alle obiezioni sollevate sulla sentenza del TAR, va evidenziato che al mercato dei buoni pasto si applicano oggi principi generali dettati dalla direttiva. 2004/18 e dal "nuovo Codice degli appalti" (Dlg. 163 del 2006) che garantiscono trasparenza, par condicio, concorrenza, proporzionalità ed adeguatezza dell’offerta. Pertanto, anche i timori di inaffidabilità delle società emittenti, paventati da più parti, sono privi di fondamento: infatti la mancanza di un capitale sociale minimo (peraltro mai previsto in gran parte dei settori regolamentati) non comporta alcun rischio per gli esercizi commerciali, né in termini di affidabilità, né in termini di solvibilità delle imprese emittenti. Inoltre, i contratti normalmente prevedono il pagamento agli esercenti entro gli stessi termini previsti per altri pagamenti da parte della P.A..
Discorso analogo vale per la certificazione dei bilanci da parte di società di revisione (annullata dalla sentenza del TAR), non prevista né dalla disciplina del Codice civile, né dalle Direttive appalti, mentre le preoccupazioni sulle aste on line non giustificano il mancato rispetto delle norme comunitarie. In merito al sistema di aggiudicazione, anch’esso annullato dal TAR, è bene ricordare che il meccanismo previsto (massimo punteggio in sede di gara alle imprese che fanno il minor sconto agli esercenti) sostanzialmente faceva gravare i costi sul bilancio dello Stato; è evidente, infatti, che se le imprese emittenti sono obbligate a praticare condizioni contrattuali al ribasso a vantaggio degli esercenti, si trovano poi costrette, per aggiudicarsi le gare, a ridurre gli sconti alle pubbliche amministrazioni, con grave danno per l’erario.
Si tratta di una vera distorsione del mercato a vantaggio in generale degli esercenti.
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